Kostas P. Michailidis

 

IL MORTALE E L'IMMORTALE

 

    Siamo mortali perché muoriamo. Appena cominciamo a esistere si schiude subito l'orizzonte della nostra mortalità, la cui confutazione è insita nella nostra stessa esistenza. Questo perché esistiamo e vogliamo esistere. È innato in noi il desiderio di essere immortali.  Illusione, vanità, passione inguaribile. Eppure questa passione esercita una influenza decisiva sulla nostra vita.

    La corruzione ci tende agguati ma non ci elimina. La corruzione del nostro corpo, la corruzione della generazione cui apparteniamo, la corruzione delle cose. Se non la loro metamorfosi. Abbiamo la consapevolezza di essere vittime di un procedimento che si ripete senza fine, o di un vuoto che si apre impietosamente in noi quando tale procedimento manca. E diventiamo figli del tempo che, inavvertitamente, ci annienta.

    Per questo un giorno fulgido come quello della resurrezione ci stupisce. È come se uscissimo da un letargo. E affrontiamo questo giorno impreparati, ma con il sospetto che stia accadendo qualcosa di grandioso, come la luce che lo illumina. Questo è un giorno per rendere grazie. Rendere grazie per la luce, per la vita, per l'amore che trionfa nei cuori, per la vittoria sulla morte secondo la testimonianza di Gesù «qanavtw qavnaton pathvsa"».

    Anche se ne sentiamo per un solo istante l'esaltazione che ci conduce lontano, fino alle radici del nostro essere. E diciamo con mille voci: «Dolce è la vita, la morte è tenebra.» Siamo assetati di eternità e vogliamo vincere la morte, l'annientamento della vita che sta in agguato dentro la vita, con la conseguente perdita dei nostri amici, e con la scomparsa definitiva di noi stessi. Se l'amore, la passione ardente per la vita, ci abbagliano con la loro magia e ci rivelano il senso di tutto ciò che esiste, la decadenza dell'amore, la repulsione ontologica, lo spirito che nega, ci annullano. Come potremo vincere la morte con la vittoria che proprio in questo giorno celebriamo?

    Viviamo con timore reverenziale o con nostalgia il dramma della passione e della redenzione, del seme che viene sotterrato e che rinasce, del Dio dell'amore che testimonia, muore e resuscita per noi. Nella nostra memoria si destano le figure e le vicende remotissime di Persefone, e anche quelle di Dioniso che, sbranato dai Titani, riemerge trionfante dalle loro ceneri. Ci consola il trionfo della vita palpitante che rinasce sotto nuove forme sconfiggendo la corruzione.

    Oggi il ciclo del tempo continua a confermarci che il portento della palingenesi si ripete. Mentre la luce sempre nuova del giorno illumina gli uomini, una generazione si succede all'altra. Eppure questo ciclo ci assedia minacciosamente perché non esiste via d'uscita, perché il suo reiterarsi conduce a una vana ripetizione priva di senso, perché anche questo ciclo è minacciato oltraggiosamente dalle nostre opere. Nietzsche, scagliandosi contro la corruzione che sta desolando il suo secolo, voleva sfuggire al cappio soffocante del tempo ritornando allo spirito della palingenesi. L'eterno ritorno del ciclo delle creature che dileguano e ritornano, diventa per lui l'affermazione dionisiaca dell'eternità. Il Dioniso crocifisso viene redento nell'estasi dell'eterno ritorno. Così dalle rive della Silvaplana si smarrisce in una visione – surrogato della morte di Dio – i cui rimorsi sono pagati oggi dalla gioventù che si rifugia nel torpore delle allucinazioni.

    Ma la morte sta in agguato e oggi insidia non solo lo spazio terreno che ci è così famigliare, ma l'anima umana stessa. Ed è a essa che è rivolto il gioioso messaggio della resurrezione.

    Oggi l'anima è minacciata dalla corruzione totale. Perché ha perduto le sue fondamenta: la fede nella luce, l'accettazione della vita, la fede nel fondamentale valore e nella sacralità dell'esistenza umana. E si commisera  in un mondo che vacilla senza senso. Per questo si sveglia stupita nella luce divina della resurrezione, sussultando in essa anche solo per un istante, percependo qualcosa di simile al fremito dell'immortalità di quella luce, come se la tenebrosa notte della morte non dovesse più colpirla. La luce di resurrezione che l'ha generata s'aggira in luoghi incerti, accendendo nella notte della morte la propria luce che risveglia.

   

 

Da EFTHYNI, 316, 1998, pp. 188-89 - Trad. a cura di M. Giachetti