GIOVANNI ANASTASSÍU

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI NEOMARTIRI

Quando diciamo neomartiri, la stessa parola ci conduce a capire che abbiamo qualcosa di nuovo, mentre esiste ancora l'antico. È noto che nella Chiesa antica esisteva un gran numero di martiri, e la tradizione del martirio dell'epoca eroica dei cristiani è rimasta viva nella Chiesa e i martiri sono stati onorati non solo dalla storia, ma anche dalla Chiesa. La loro memoria viene festeggiata ogni anno, sono stati composti inni, sono stati costruiti templi in loro onore e i cristiani li venerano e li onorano.

Nuovi martiri sono stati chiamati tutti quelli che in anni più recenti, durante la turcocrazia, non hanno accettato di rinnegare la loro fede e hanno pagato questa loro decisione con torture e alla fine con la loro stessa vita.

Il confronto fra cristiani e musulmani comincia dai tempi degli arabi, continua con i turchi selgiuchidi per arrivare al colmo con i turchi ottomani. Abbiamo informazioni sui neomartiri dopo la caduta di Costantinopoli (1453 d. C.).

Esisteva una relativa tolleranza del Corano e dopo la presa di Costantinopoli il sultano Maometto concesse ai cristiani alcuni privilegi, tra cui la libertà di celebrare il proprio culto. Nel primo decreto giunto fino a noi, dato dal sultano al patriarca Dionigi Vardalis (1602), leggiamo: "Nessun infedele può diventare musulmano senza il suo consenso."

Lo stesso viene ripetuto in altri decreti per la nomina dei patriarchi e metropoliti. "Se qualcuno che paga le tasse non vuole diventare musulmano, non deve subire violenza alcuna, né deve essere perseguitato." Allora perché parliamo dei neomartiri e degli islamizzati con la forza?

Dobbiamo anzitutto escludere coloro che accettarono volontariamente l'Islam. Tanti cristiani si fecero musulmani perché così potevano conservare i propri beni. Passavano così alla classe dei conquistatori, dove potevano godere di tutti i privilegi e sfuggire alle torture e alle umiliazioni della schiavitù. Dobbiamo inoltre considerare che i privilegi sono stati assai frequentemente violati. Gli stessi turchi ammisero di aver islamizzato dei cristiani con la forza.

Il viaggiatore del XVII secolo Evliya Tselepì scrive che i turchi raccoglievano con la forza i bambini nella città di Starova in Bulgaria. Lo stesso autore scrive inoltre che nel giorno della Pasqua i turchi festeggiavano la conquista delle città greche di Veria ed Edessa mentre i cristiani rimanevano chiusi nelle loro case. Chi in quel giorno si fosse avventurato fuori casa, veniva preso dai turchi e islamizzato senza alcuna procedura. Così facendo non venivano rispettati i decreti.

Tuttavia la pretesa di islamizzare i cristiani non era immediata; seguiva a un trabocchetto che consentiva di presentare l'islammizzazione come una inevitabile conseguenza di una azione dei cristiani e non come costrizione da parte dei turchi. Vedremo più avanti alcuni esempi. Per lo stesso motivo i metropoliti e il patriarcato non intervenivano, non potendosi opporre agli argomenti sofistici dei musulmani.

Per di più, i turchi si sforzavano di islamizzare il maggior numero possibile di cristiani, perché credevano che ciò facesse bene alla loro anima. L'islamizzazione dei cristiani dava modo ai turchi di organizzare manifestazioni solenni, mentre i cristiani dicevano: "Ahimè uomo e tre volte ahimè: meglio sarebbe per te di non essere mai nato. Che cosa hai guadagnato, o misero, hai perso la tua fede e hai dannato la tua anima."

Quanti sono i neomartiri? Lo ignoriamo.

Si dice che siano più di mille fra tutte le città degli ortodossi. Nicodemo Aghiorita, nel suo "Nuovo Martirologio", prima edizione, scrive la biografia di 87 neomartiri. Bisanzio ci aveva abituati a onorare i santi sacerdoti e monaci. Con i neomartiri torniamo indietro al tempo della Chiesa antica, perché come allora la maggior parte dei neomartiri sono laici, uomini e donne semplici, quotidianamente dediti ai mestieri più diversi.

Sono uomini conosciuti da tutti nel vicinato, e che vivono i pensieri, le gioie e le sofferenze degli uomini semplici. Tutti conoscono Giovanni il sarto, Michele il fornaio, Nicola il droghiere, Triandafillos il marinaio. I pittori hanno dipinto i neomartiri così com'erano vestiti nella, loro vita quotidiana.

Avevano però costoro ance le virtù cristiane: modestia, saggezza, devozione, semplicità, continenza, assiduità alla chiesa e ancora una calda fede. Senza queste virtù nessuno saprebbe affrontare il martirio.

Così questi uomini semplici e pii, quando giunse la grande ora della testimonianza per il Cristo, seppero rimanere fedeli fino alla morte.

I turchi provocavano spesso i martiri, in modo che il loro martirio non sembrasse una violenza.

Il portare vestiti simili a quelli dei turchi o un fazzoletto legato alla testa, veniva ad esempio considerato un desiderio di diventare turco. Se qualcuno avesse pronunciato inavvertitamente la confessione musulmana di fede, questo era un segno che era già diventato musulmano.

Talvolta i turchi si innamoravano di donne cristiane e volevano sposarle. Se quelle non erano d'accordo, cominciava la procedura di rinnegamento, che avrebbe fatalmente portato al martirio.

Per islamizzare un cristiano, i turchi cominciavano con le buone maniere, con lusinghe e con la promessa che avrebbero potuto vivere il resto della sua vita tra i piaceri. I martiri disprezzavano siffatti argomenti e allora i turchi, cambiando tattica, davano inizio alle torture. Queste torture erano di molte specie e vengono descritte con dovizia di particolari nelle biografie dei neomartiri. Per piegare il martire e fargli cambiare fede, lo sottoponevano a lunghi interrogatori attuati successivamente da più persone. Il martire, però, fermo nella sua fede, dimostrava il suo disgusto verso la religione musulmana e affermava che la sola religione cristiana è quella vera, mentre quella musulmana era falsa.

In quegli anni questa affermazione era di grande importanza, in quanto la propaganda maomettana affermava che la religione islamica era quella vera, perché i turchi avevano il regno, la gloria e la forza che Dio aveva dato perché la loro religione era quella vera, mentre aveva privato di tutto i cristiani miscredenti.

Talvolta i biografi mettono sulla bocca dei martiri durante il processo insegnamenti che sono piuttosto destinati ai lettori. Così Argyros di Epanomi - pur essendo analfabeta - ha espresso un insegnamento completo sulla Santa Trinità. Il biografo ha tratto tutto ciò dal discorso di Filoteos Kokkinos, dedicato a San Gregorio Palamas, nella traduzione di Athanasios Parios.

I martiri avevano una tranquilla sicurezza che proveniva dalla profonda fede in Cristo. La confessione era semplice.

Michele non diceva nessun'altra parola tranne "non divento turco". Damiano diceva che "sono nato nella fede dei cristiani e con questa voglio morire".

I martiri non davano importanza alle torture, che consideravano come mezzi per rinsaldare la loro fede e come una manifestazione della loro devozione a Cristo.

Teodoro, dopo essere stato torturato, diceva al cristiano prigioniero: "Fratello mio, ieri e questa sera, e per tutta la notte, sono rimasto solo e il mio cuore si è riempito di molta paura, per l'intervento di satana poco mi mancava dal cadere nella disperazione; poi mi ha aiutato la grazia di Dio."

Nella vita dei martiri risaltano la fermezza, la perseveranza durante gli interrogatori e le torture. Chrisis era valoroso e l'adolescente Nikitas era coraggioso e virile. La forza divina rendeva i martiri gioiosi nelle torture e la permanenza in prigione pareva loro un allegro simposio. Per alcuni durante la notte nella prigione splendeva luce celeste. Nella prigione dove era stata impiccata Kiranna, che miracolo! Improvvisamente ha brillato nella prigione una grande luce scesa dal tetto come un lampo a circondare il corpo della martire. Da lì si è stesa in tutta la prigione come se fosse entrato il sole ed era la quarta o quinta ora della notte. Gli altri prigionieri videro la luce e le donne turche gridavano: Oh, oh, il peccato della povera Greca ci è caduto addosso come un fulmine per bruciarci; e il carceriere tremava tutto per la paura.

Il sommo coraggio e il disprezzo per la morte hanno vinto la morte. Esiste anche un'altra categoria di neomartiri. Sono quelli che hanno prima negato la fede e dopo hanno di nuovo confessato la loro fede, diventando così martiri. Su questi negatori del Cristo informiamoci ancora una volta dal "Nuovo Martirologio".

Vari sono i motivi che hanno portato questi poveri martiri alla negazione. Si indicano la leggerezza di opinione, il pensiero puerile, l'ubriachezza, l'inganno e le calunnie. Esistono casi commoventi, come quello di S. Akakios di Serres (Grecia), con il suo nome di battesimo Atanasio.

I suoi genitori misero il ragazzo di nove anni presso un calzolaio per imparare il mestiere. Il padrone però aveva un modo di insegnamento originale e ogni giorno bastonava il bambino senza pietà. Alla fine il piccolo, non sopportando il maltrattamento giornaliero, fuggì piangendo dalla bottega. Due donne turche lo trovarono per la strada, lo raccolsero con bontà e alla fine lo fecero diventare musulmano.

I cristiani di quest'epoca mostravano simpatia e comprensione per questi uomini; altri che non mostravano comprensione dicevano che non avevano il puro spirito cristiano.

Di uno che aveva rinnegato la propria fede cristiana ed aveva ricevuto il martirio il suo biografo scrive: "Onoriamo e lodiamo il rinnegato Angelos, e applaudiamo e glorifichiamo la sua testimonianza. Sappiano tutti coloro che dubitano della santità e della gloria del martirio che egli è martire vero e secondo l'originaria tradizione della verità è degno di ogni onore per il suo martirio."

Mentre questi rinnegati vivevano come gli altri turchi, in alcuni incominciava la conversione interiore, che portava al pentimento e al ritorno. Si accendeva nel loro cuore una fiamma che li guidava di nuovo alla loro religione.

In altri operava la grazia di Dio.

Michele di Tsmirna, un giovane di diciotto anni, che aveva rinnegato all'inizio della Quaresima, lavorava in una bottega di caffè. Il giorno della Resurrezione andò in un albergo di Kislar Agà, dove un gruppo di giovani cristiani si divertiva cantando "il Cristo è risorto, amato da tutto il mondo".

Michele si rese conto del male che aveva subito, si pentì e, in seguito a ciò, abbandonato il, suo lavoro nella bottega di caffè, cantò anch'egli il "Cristo è risorto". I presenti che ascoltavano Michele glielo impedivano, dicendo che era sconveniente per un turco pronunciare parole che appartengono solo ai cristiani. Michele rispose dicendo: "domani vedrete chi ero e chi sarò".

Molti di questi rinnegati, dopo essersi resi conto del loro errore, andavano al Monte Athos, trovavano un confessore e venivano unti col santo Miron.

Questi e quanti altri rimanevano nei loro luoghi cercavano di lavare la loro apostasia con il sangue, specialmente nel luogo stesso in cui avevano negato il Cristo. shh

Qualcuno ha visto a Costantinopoli dei greci che, dopo una grande ubriacatura che procura tanti mali, hanno abbracciato la religione dell'Islam, però ha visto i medesimo, rinsaviti, calpestare con i loro piedi davanti ai turchi il proprio turbante e sopportare il martirio con coraggio.

Alcuni prendevano con facilità il permesso del confessore, altri però lo preparavano con la preghiera, con il digiuno ed esercizi spirituali per molto tempo, perché i confessori avevano paura che forse non avrebbero resistito alla dura prova della tortura.

Nicodemo Aghiorita scrive che cosa devono fare i rinnegati quando si siano pentiti: "Dovete prima alzarvi al mattino e andare nel luogo dove avete rinnegato il Cristo e confessare la fede nel Cristo e in questa confessione versare il vostro sangue e morire." Queste cose si dicono solo per gli apostati, perché la Chiesa vietava severamente ai cristiani di esporre se stessi volontariamente al martirio.

Agapio Landos, che conobbe bene il problema dei convertiti all'Islam a Creta, scrive che i rinnegatori di Cristo possono diventare anacoreti, o andare in altri posti, se hanno paura di restare nel loro luogo, possono anche andare in Occidente e vivere lì in penitenza.

Commovente è anche la descrizione di come questi rinnegati dichiaravano davanti all'autorità turca il loro ritorno alla religione cristiana e il rinnegamento della religione musulmana e infine la descrizione del loro martirio, che conduceva alla morte.

Questa perseveranza era considerata dai turchi una ostinazione e il biografo osserva: "ma in verità, anche se si trattava di ostinazione, era ostinazione santa, ostinazione salvatrice; ostinazione dovuta e necessaria, che ogni cristiano deve avere contro satana per poter compiere la divina volontà." Un altro biografo osserva: "I martiri e i rinnegati che tornavano di nuovo alla religione cristiana, avevano una decisione incrollabile di sacrificare la loro vita, senza paura della morte." Nelle biografie viene segnalata la sollecita disposizione a marciare verso la morte. Viene usata l'espressione "correvano con il viso che splendeva". Nicola il droghiere andando verso il martirio era pieno di gioia senza aver paura della morte."

I cristiani vedevano come propri i patimenti e la lotta del martire e pregavano Dio di dare ai martiri la forza di rimanere fedeli fino alla fine. Nella persona del martire tutti esprimevano la volontà di resistere e perseverare nella fede.

Esiste anche una preghiera di supplica rivolta alla Santa e consustanziale Trinità cantata da tutti quelli che desideravano che "qualche nuovo martire perseveri nelle torture".

Nel luogo del martirio, che non era segreto, si raccoglievano moltissimi cristiani, turchi e altri per seguirlo: così l'esecuzione della pena capitale assumeva una carattere drammatico. Leggiamo ad esempio nella vita del Santo Michele di Agara (Grecia): "Tutta la città si era radunata per vedere il martirio, come per comune accordo; i cristiani stavano lontano, perseguitati, la folla degli Agarini stava vicina, sprizzando collera, minacciando, insultando, facendo un disordine selvaggio.

Era quasi come vedere un teatro pubblico; il luogo era pieno di una moltitudine di uomini, tutti i tetti e ogni piano delle case erano pieni, così pure gli alberi, i muri, perché tutti, come una nuvola di api, si erano raccolti per vedere la lotta del martire, per vedere come lottava e come vinceva i nemici visibili, e credo che non mancassero dallo stadio né gli angeli né le anime dei martiri, in attesa di acclamare il vincitore." Su questo luogo, nell'angolo del cortile del tempio della Presentazione e davanti alla folla, venne acceso il fuoco e bruciato il martire.

Così i martiri non si sentivano isolati nell'ora tremenda della morte, ma sapevano di avere e vedevano l'amore e l'assistenza morale dei cristiani, e le loro salde preghiere.

La morte veniva data per decapitazione, impiccagione, rogo o a mezzo di torture.

Qualche volta i turchi si sforzavano ancora all'ultimo momento di convertire il martire. "Il boia colpì al collo il giardiniere Michele all'ultimo momento con un colpo di piatto del suo coltello; Michele capì e gli gridò: colpisci per la fede!"

Vengono riferiti anche altri esempi del crudele comportamento dei boia all'ultimo momento dell'esecuzione dei martiri.

Dopo le esecuzioni i cristiani cercavano di riprendere le spoglie dei martiri per farne i funerali e la sepoltura. I turchi lo sapevano e perciò chiedevano soldi per consegnare i corpi; inoltre cercavano di trovare il modo di profanarli.

Atanasio fu decapitato e gettato in un luogo dove si radunavano i cani. Dopo tre giorni furono decapitati anche due delinquenti maomettani e i loro corpi vennero gettati nello stesso luogo.

Durante la notte i cani mangiarono i corpi dei turchi. Perché era successo tutto ciò? I turchi risposero che i cani non avevano mangiato il corpo del martire perché faceva loro schifo, mentre i corpi dei turchi erano dolci e gustosi.

Quando i cristiani riuscivano a prendere le reliquie, facevano con grande rispetto e amore i funerali nella chiesa. Per il santo Giorgio di Giannina, dice il suo biografo, avevano portato le sue reliquie nella cattedrale dov'era la folla dei cristiani e "con tutto l'ordine ecclesiastico, con lacrime ma anche con gioia per la gloria della fede irreprensibile e per il disonore degli Agarini, perché non potevano godere della loro errata opinione, seppellirono le sante reliquie del martire, con salmodie e con lo zelo della fede, cristianamente e maestosamente nella parte sinistra della chiesa."

Per i funerali dei neomartiri venne scritta dallo ieromonaco Nikiforos di Chio una funzione speciale.

I neomartiri hanno attirato il rispetto dei loro contemporanei e dei cristiani posteriori. Nicodemo Aghiorita paragona l'esistenza dei neomartiri a un miracolo: "come vedere nel cuore dell'inverno fiori primaverili e rose, vedere giorno e sole nella notte profonda, vedere la libertà nel tempo della schiavitù."

I neomartiri hanno mantenuto la fede cristiana negli anni difficili della turcocrazia e con il loro esempio hanno dimostrato che i cristiani schiavi devono saper sopportare sofferenze e tormenti senza perdere il tesoro della fede.

La commozione e il timore che il sacrificio di un neomartire provocarono nelle anime dei cristiani erano più forti di tanti insegnamenti e ammonizioni.

Ma non dobbiamo nemmeno dimenticare la grande importanza per la nostra nazione. Ellenismo e cristianesimo erano strettamente collegati fra loro. I martirologi e il popolo dicevano, a proposito dei rinnegati, "si fa turco e si è fatto turco", perché chi diventava musulmano perdeva la sua identità di greco.

Nelle biografie queste cose non vengono scritte chiaramente, viene però citata la schiavitù che si chiama "cattività, giogo". Una chiara polemica si manifesta nella innologia dei neomartiri, dove l'autorità aveva difficoltà a intervenire.

Nel Nuovo Martirologio viene indicato a chi è utile questo libro: a quanti sono sotto il giogo della schiavitù, a quanti vogliono acquisire informazioni sulla fede, a quanti desiderano avere ferma pazienza.

I neomartiri sono i difensori della libertà del pensiero e della coscienza,, sono i difensori della indipendenza ellenica. Non furono piegati e pagarono con la vita il rifiuto di sottomettersi alla volontà del conquistatore. Se altri andarono sulle montagne a combattere con le armi, essi pacificamente, con pazienza e costanza, hanno umiliato i turchi non accettando di fare ciò che veniva loro ordinato. Questa fu la grande lezione per il popolo. "Non date ascolto e non sottomettetevi alla loro volontà qualunque cosa vi chiedano e qualunque minaccia proferiscano."

I neomartiri sono gli sconfitti, gli uccisi, però nella realtà "la debole stirpe ha trionfato sull'autorità dei dominatori e sul potere delle tenebre e i martiri brillano come soli splendenti nella notte della schiavitù, sono ancore solide durante la tempesta."

Segnaliamo ancora un altro messaggio dei neomartiri. Come nei tempi antichi, così anche negli anni più recenti è apparso chiaramente che la nostra religione e la nostra Chiesa rifiutarono di legarsi con il potere e la forza. Né ha bisogno di un bastone per reggersi in piedi. Al contrario si regge sui poveri, sui torturati, sugli umili, sugli uccisi, su quanti appaiono sconfitti.

È profondo il simbolismo quando si mettono sotto l'altare le reliquie dei martiri... Tutta la Chiesa si appoggia sugli umili, sugli uccisi ingiustamente. E dove altrimenti poteva appoggiarsi dal momento che, per la prima e unica volta, è accaduto il fenomeno di avere come nostro capo e salvatore il Figlio di Dio, che gli uomini del suo tempo anno contestato e alla fine crocifisso come un delinquente.

Il popolo ha capito per tempo l'importanza dei neomartiri per l'Ortodossia e per l'Ellenismo, e ha proclamato i neomartiri Santi della Chiesa, li ha onorati con templi, con icone, con celebrazioni nella festa della loro commemorazione; alcuni sono onorati come protettori di una città, alcuni sono stati proclamati santi dal popolo stesso, altri, più tardi, dal Patriarcato.

San Giorgio di Chio fu portato dai turchi ad Aivalì, sul luogo del suo martirio. I cristiani erano stati riuniti in chiesa a pregare Dio e in una atmosfera di timore aspettavano di sentire la sua fine. Venne qualcuno correndo a dire che il martire era molto fedele in Cristo e vincitore. E allora il sacerdote chiese nella sua preghiera, insieme con l'intercessione degli altri santi, anche quella del neomartire Giorgio. Così, in modo tragico e commovente, il popolo ammaestrato e guidato da Dio nella preghiera, proclamò santo il martire Giorgio di Chio.

A noi rimane il compito di comprendere quale sia il valore di questi umili eroi della fede e dell'ellenismo.

Da Simposio Cristiano
ed. dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi
San Gregorio Palamas, Milano 1991, pp. 47-54
trad. Archim. T. Moschòpulos L. Giamporcaro