[spiritualità / storia dell'arte]

"Cos'è l'icona: oggetto liturgico oppure mezzo ermeneutico?"

di ELIA ICONOMOU

1. La celebrazione della milleduecentesima ricorrenza del VII Sinodo Ecumenico (787) nella Università Aristotelica da pare della facoltà di Teologia della città di S. Demetrio e dei missionari Cirillo e Metodio, costituisce una splendida occasione per una ulteriore ricerca nei Testi Ufficiali del Sinodo, dai quali attingere quello spirito e quelle idee necessari per ribattezzare la teologia neoellenica ortodossa affinché apporti il suo più autentico contributo sia alla formazione della nostra società che al futuro pancristiano.

1.1 In virtù di ciò, gli organizzatori del congresso, verso i quali esprimo i miei personali ringraziamenti, meritano tutte le nostre più fervide congratulazioni.

1.2 Benché non sia nuovo né l'interesse verso questo Grande Sinodo, né lo studio di ciò che ha insegnato a riguardo dell'icona - è noto infatti che prima ha insegnato e solo poi dogmatizzato -, si è ben lungi dal poterli considerare esauriti. Per molti, sia in Grecia che all'estero, l'insegnamento relativo all'icona è terra incognita nonostante sia il magistero, sia il dogma di questo Sinodo, siano di uno straordinario significato teologico e abbiano tuttora una salda importanza sia antropologica che culturale.

2. Oggi, quale contributo a questa celebrazione, ho intenzione di presentarVi una breve analisi relativa alla domanda disgiuntiva presente nel titolo.

È evidente che il titolo si pone un duplice interrogativo riguardo al carattere delle sacre icone, ossia se esse si collochino unicamente nel luogo e nel tempo liturgico quali oggetti e strumenti del culto sacro, oppure se debbano far parte dell'attività legata alla Teologia ermeneutica delle Sacre Scritture, agendo come commentari illustrati esegetici.

Gli interrogativi suesposti non derivano da uno scolasticismo accademico ma, al contrario, scaturiscono da necessità odierne e dalla pratica di usanze introdotte nella prassi attuale che, talvolta, hanno come conseguenza ultima la secolarizzazione delle sacre icone. Tale processo avviene attraverso l'accentuazione di una loro peculiarità parziale, in virtù della quale risultano essere solo beni culturali e conservati pertanto nei musei e non nelle sacrestie, luogo debito se fosse loro riconosciuta la primigenia qualifica di oggetti sacri.

2.1 Non mi cimenterò ad esaminare l'icona dal punto di vista teologico, se non soltanto frammentariamente, poiché altri illustri colleghi hanno più autorevolezza di me in merito. Tuttavia, la teologia dell'icona si presuppone da sé ad ogni passo della mia relazione.

3. Nella mia qualità di esegeta delle Sacre Scritture, devo premettere sin dall'inizio che la parola eijkwvn (icona - immagine) rimane il più antico termine biblico per la definizone del nesso esistente tra Dio e l'uomo e vicerversa: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..." (gen. I, 26).

La teologia patristica che aveva piena cognizione di ciò, sviluppò l'argomento con intenso fervore chiarendo in modo inequivocabile che l'immagine del Padre è soltanto l'Unigenito Figlio e che l'uomo è creato secondo l'immagine di Dio.

Impropriamente, ossia per economia della parola, vi sono cenni riguardanti l'uomo come "immagine di Dio".

Risulta indicativa - a questo proposito - l'enunciazione di Leonzio, vescovo di Neapolis a Cipro: "... imago igitur Dei est, qui ad imaginem Dei factus est homo, maximeque quia eum Spiritus Sanctus habitationem accepit. Ergo juste qui imaginem Dei servorum honorat et adorat, etiam domum Spiritus Sancti glorificat" (Mansi 13.50 B).

3.1 Il rinvigorimento teologico riguardo l'impiego delle sacre icone è stato variamente espresso ma sempre in modi tali da non mettere mai in discussione l'unità e l'identità del magistero. Due frasi tratte dai sermoni conciliari sono, fra tutte, le più rappresentative: "Venerabilium imaginum traditio solemnis est." (Teodoro vescovo di Miron, Mansi 13:22 B) e: "Veraciter Dei praeceptio est." (Mansi 13:6 D).

4. L'interrogativo disgiuntivo, fonte dell'argomento, si basa sul fatto che sia secondo l'insegnamento ortodosso che secondo la tradizione e prassi della nostra Chiesa, lungo il fluire dei secoli, non si sono mai poste limitazioni riguardanti il materiale, la tecnica o il luogo e il tempo della collocazione delle sacre icone. L'oros del Sinodo asserisce inequivocabilmente: "Definimus in omni certitudine ac diligentia, sicut figuram praetiosae ac vivicae crucis, ita venerabiles ac sanctas imagines proponendas, tam quae de coloribus et tessellis, quam quae ex alia materia congruentur in Sanctis Dei ecclesiis, et sacris vasis, et vestibus, et in parietibus ac tabulis, domibus et viis" (Mansi 13:378 D).

Il patriarca Tarassio soggiunge in modo assai più analitico: "... in parietibus, quam in sacris vasis et vestibus, quemadmodum a priscis temporibus sancta Dei catholica ecclesia recepit, et in legem accepit tam a sanctis primisque doctrinae nostrae magistris, quam ab eorum successoribus egregiisque patribus nostris" (Mansi 13:403 D).

Fra gli "egregiisque patribus" si annovera anche Giovanni Crisostomo. Egli è parimenti analitico relativamente al luogo ove usare le Sacre immagini "... in annulorum circulis, et in calicibus, et phialis, et in thalamorum parietibus, et ubique" (Mansi 13:7 D).

L'oros del Concilio salvaguarda la liceità in larga scala della composizione materiale delle icone, la loro tecnica e il luogo ove debbano essere collocate.

Le due frasi succitate "quam quae ex alia materia congruenter" dell'oros del Concilio e l'"ubique" di Giovanni Crisostomo, esprimono chiaramente quanto molteplice possa essere la loro composizione e quanti i luoghi possibili a loro idonei.

L'archeologia bizantina ci attesta che perfino le monete allora coniate portavano l'immagine di Cristo. L'impiego su così larga scala, rende dunque eloquente il perché porsi l'interrogativo riguardo al carattere liturgico o ermeneutico dell'impiego delle sacre icone.

5. Il carattere liturgico delle sacre immagini si desume con certezza in primis dal luogo della loro collocazione, ossia "in sanctis Dei ecclesiis, et sacris vasis, et vestibus" nonché dalla chiara affermazione del Patriarca Tarassio il quale disse: "connumerantur cum sanctis vasis honorabiles imagines" (Mansi 13:39 B).

Assai più analitico, il depositario d'Oriente Giovanni pone l'accento sulla equivalenza delle sacre immagini con la Santa Croce e il Santo Vangelo: "... ita ut aequae potentiae honorabiles imagines cum evangelio et praetiosa cruce sint" (Mansi 13:39 D).

5.1 Il carattere liturgico delle sacre icone è di trasmissione, ossia riflette l'onore reso dagli uomini verso i prototipi dei personaggi raffigurati. Il Patriarca Tarassio spiega in modo eloquente: "Ipsa rerum natura docet, quia imaginis honor ad principale refectur: similiter autem et inhonorantia" (Mansi 13:70 C).

Questa funzione di trasmissione da parte dell'icona pone le fondamenta per la loro venerazione. La venerazione secondo Atanasio vesacovo di Theopolis, "honoris quippe indicium est adoratio" (Mansi 13:55 B). Il concetto dell'onore viene analizzato di nuovo con enfasi dal patriarca Tarassio, che identifica concettualmente i termini "venerare" e "salutare". Scrive: "kunein quippe antiqua Graeca lingua, et salutare et osculari significat: et pro" praepositio argumentum quoddam significat amoris; quemadmodum ferw et prosferw, kurw e proskurw, quod salutationem indicat, et secundum protensionem amicitiam: quod enim quis osculatur, et adorat: et quod adorat, profecto et osculatur; ... certissime salutatio est et dicitur, sicut indicat illud, quod haec propriis labiis nostris contingimus" (Mansi 13:403 E, 406 C).

5.2 Sia secondo il magistero del Concilio che secondo l'esperienza ortodossa, il carattere di trasmissione delle sacre icone non si effonde solo in un'unica direzione, ovvero dal credente orante verso la persona venerata, ma è bivalente; a questo proposito, durante il Sinodo, il presbitero Giovanni ha sottolineato: "et per imagines apparent sancti miracula facientes" (Mansi 13:66 D). Orbene, è vero che le sacre icone fungono da tramite nel trasmettere l'onore che gli uomini tributano ai Santi, ma è anche vero che - per mezzo loro - i Santi elargiscono agli uomini grazia divina.

5.3 I termini "salutamus", "veneramus" e "amplectimur" non esprimono una visione passiva delle icone, ma piuttosto un'azione dinamica che si manifesta tributando loro onore.

5.4 Con gli stessi termini viene parimenti definita la venerazione cristiana per i Luoghi Santi e verso quanto di sacro vi è in essi. Tale teologia dell'onore rivolta ai Luoghi Santi è inclusa nei documenti del Concilio, così come venne formulata da Leonzio, vescovo di Neapolis a Cipro nel suo quinto sermone "pro Christianorum apologia contra Judaeos, ac de imaginibus sanctorum": "... ita et nos omnes fideles ut virgam Christi, crucem adoramus; ut fedem vero et cubile, ipsius sanctissimum monumentum; ut domum, praesepe et Bethlehem, et sancta eius caetera tabernacula: porro ut amicos, eius apostolos et sanctos martyres ac reliquos sanctos eius: at vero ut civitatem eius colimus. Sion, ut autem villam eius iterum Nazareth salutamus; atque ut divinum eius lavacrum Jordanem amplectimur. Multa quippe et ineffabili erga ipsum affectione ubi ascendit, vel sedit, vel illuxit, vel tetigit, aut omnino obumbravit; colimus et adoramus ut locum Dei: non locum, neque domum, neque regionem, vel civitatem, aut lapides honorantes, sed eum qui in illis conversatus est, et illuxit, et in carne innotuit, atque ab errore liberavit. Christum videlicet Dominum nostrum" (Mansi 13:43 E, 45 A).

6. Le Sacre icone, come pure i Luoghi Santi, quindi, non solo ricevono per trasmettere l'onorifica venerazione da parte degli uomini, ma ricolmano i credenti di grazia divina.

Oltre a questa bivalente funzione trascendentale, ne hanno poi un'altra appartenente ad un altro ordine: quella antropocentrica. Esse, infatti, insegnano e interpretano con la lingua delle forme e dei colori.

6.1 Il carattere didattico e fondamentalmente ermeneutico delle sacre icone si basa precipuamente sulla natura dell'uomo la quale, per indole, conosce i fatti naturali e quelli storici attraverso i sensi, primo fra tutti quello della vista.

Già Aristotele aveva osservato: "Omnes homines natura scire desiderant. Signum autem est sensuum dilectio: nam et absque usu propter se ipso amantur; prae ceteris autem, qui per oculos fit" (Metaphisicorum I 980).

L'uomo vede, conosce e riconosce solo ciò che è visibile. Tuttavia, vi è anche la visione di ciò che una volta era visibile (personaggi e fatti storici) e che ora non lo è più, così come di ciò che per sua natura risulta essere invisibile ma può essere visto con i soli occhi spirituali, sotto forma di "visione" oppure di "apparizione".

Le sacre icone rivelano quei personaggi e quegli avvenimenti che una volta erano visibili, come per esempio quelli che riguardano Cristo e la sua nascita, ma offrono anche una rappresentazione visiva, secondo i canoni della natura umana, di ciò che per sua propria natura risulterebbe essere invisibile, quale, per esempio, la vista di Dio Padre.

Fonte di quella realtà rivelata che una volta risultava essere visibile e che ora non lo è più, come pure di quella che mai lo fu poiché invisibile per sua propria natura, è la rivelazione scritta della volontà divina: ovvero le Sacre Scritture.

6.2 Le Sacre Scritture trasportano, grazie al veicolo linguistico, la parola e i personaggi ivi presenti vicino al lettore e a colui che ascolta, e viceversa, in un incontro ottico. Anche l'icona compie la stessa funzione di mediazione ma con uno strumento dissomigliante, equivalente alla lingua.

Secondo il Sinodo: "... ita ut aeque potentiae honorabiles imagines cum evangelio" (Mansi 13:39 D). Trattasi di equivalenza tra due mezzi di comunicazione diseguali tra di loro: la parola e l'immagine. Questa equivalenza si evince dalla pertinenza e dalla fedeltà della rappresentazione figurativa, che ha come compito quello di raffigurare i fatti storici, così come è stato testimoniato dal Concilio stesso: "Evidenter ars ante vultum afferret historiam" (Mansi 13:10 C).

Tale immediatezza dell'immagine, quale esplicitatrice della storia, riconosce all'icona una superiorità nei confronti della parola: "... itaque maior est imago sermone", disse a questo proposito Giovanni - rappresentante dei Patriarcati d'Oriente al Concilio - e soggiunse, a proposito della succitata superiorità: "Dei providentia factum est propter idiotas homines" (Mansi 13:19 C).

Ciò vuol dire che la ricezione della verità tramite l'immagine è assai più immediata e completa, essendo connaturale alla natura umana, rispetto a quella recepita tramite la parola che ha carattere didattico. L'immagine, quale mezzo di comunicabilità, si appella dunque alla primordiale capacità ricettiva dell'uomo essendo l'una delle due primigenie "lingue". L'altra deve considerarsi la parola proferita.

Le sacre icone hanno come loro fonte la parola scritta delle Sacre Scritture. Tutto ciò che in esse viene espresso diventa, con la mediazione dei pittori, rappresentazione, ossia, la Parola Divina viene proiettata dal sistema scritto a quello icastico: la parola di Dio viene così ad essere profferta sia con la parola che con l'immagine.

Giovanni tornando sull'argomento asserisce: "Non adversantur pictores scripturis, sed quidquid scriptura dicit, id demonstrant; ita ut assertores sint eorum quae scripta sunt" (Mansi 13:19 D).

Orbene, questo asserto sull'icona è contestimonianza della veridicità della parola delle Sacre Scritture.

6.3 L'asserto sull'icona convalidante la parola si riferisce principalmente alla storicità degli avvenimenti e dei personaggi riportati nelle Sacre Scritture, evitando di trasformarli con deduzioni basate su voli di fantasia. "Una est etiam imaginalis picturae formatio, quae historiae evangelicae praedicationis concinit, ad certitudinem verae et non secundum phantasiam Dei Verbi inhumanationis effectae" (Mansi 13:378 C).

Questa frase, nonché la precedente "assertores (i pittori) sint eorum quae scripta sunt", pongono la legittimità e la funzione delle sacre icone sotto un'altra prospettiva. I fatti che hanno portato alla redenzione dell'umanità, sono stati sentiti e avvertiti con i sensi della vista e dell'udito. I testimoni "oculari" e "auriculari" predicarono e misero per iscritto "ciò che hanno veduto e udito". Gli avvenimenti della redenzione, esaminati dal punto di vista comunicativo, erano immagini e parole.

Per la loro predicazione e trascrizione è stata usata solamente la parola, sovente carica di tutto un linguaggio di immagini che l'ha portata ad essere parola descrittiva, "loquantur enim etiam per literas linguae causas, et repraesentant quasi videndas" (Mansi 13:410 C).

Le sacre icone presentano questa parola descrittiva delle Sacre Scritture con rappresentazioni raffigurative, riportandola così a una delle sue forme originali, vale a dire a essere visibile. Le sacre icone ci offrono quindi come visibile ciò che lo era di fatto durante i tempi della rivelazione per quanto riguarda personaggi e avvenimenti, avvalendosi di colori, forme, espressioni e movimenti, dando così testimonianza ottica degli avvenimenti della redenzione.

L'appartenenza concettuale di questa funzione dell'icona proiettata a trasmettere la storia della redenzione, può essere definita traduttiva della parola in immagine, interpretativa della parola, oppure consonante alla parola testimonianza dei fatti della divina rivelazione.

Indipendentemente da questa primigenia forma di espressione della realtà redentrice recepita con la vita, le icone riportano la parola del Vangelo con la matita dell'iconografo. Sono quindi traduzioni e interpretazioni che rispecchiano la temporalità, a sua volta in contiguità con la sovratemporalità.

Per questa ragione la cornice topografica, essendo secondaria oppure addirittura insignificante ai fini della salvezza, non costituisce un elemento di cura perché abbia una sua simmetria nei confronti della realtà naturale.

Ciò si rivela con perspicuità dallo stesso Concilio che afferma con intransigente impegno: "Imago enim secundum nomen tantum, et non secundum definitionem communicat primitivo, ut saepe iam diximus; quia et anima caret" (Mansi 13:339 E).

L'icona non è la realtà stessa, ma allora qual è il nesso tra loro intercorrente?

6.4 L'icona opera sull'uomo in modo commemorativo, ossia gli ricorda quei personaggi e quegli avvenimenti che sono intimamente connessi al progetto salvifico. Ovvero l'icona "... ad commemorationem salutaris eius (di Cristo) dispensationis imaginaliter formare illum divinitus erudita est" (Mansi 13:346 A).

La reminiscenza così suscitata si focalizza nella "Sua economia salvifica" ossia (mi si consenta il neologismo teologico) è soteriocentrica.

Questo costante diretto o indiretto riferimento alla salvezza, costituisce indubbiamente la differenza avvisatrice esistente tra le sacre icone nei confronti di tutte le altre.

Da qui ha origine la loro dignità teologica: "Omne quippe quod in commemorationem Dei conditur, acceptum est illi" (Mansi 13:362 A). Tale funzione commemorativa delle sacre icone verso i fatti della salvezza non viene concepita come psicologia ma piuttosto come funzione vitae.

Le sacre icone, quindi, non solo riportano semplicemente alla memoria gli avvenimenti passati, ma suscitano una reazione emotiva e volitiva. La memoria o reminiscenza di Dio è un termine teologico che affonda le sue radici nell'Antico Testamento.

La frase "memoria di Dio" intesa come generica oggettiva (mi ricordo Iddio) è sinonima della fede e come generica soggettiva (Iddio si ricorda) è sinonima della Divina presenza nella storia. La memoria o reminiscenza di Dio o della Sua immanenza implica l'accettazione della veridicità degli avvenimenti e ne suscita la partecipazione.

La funzione delle icone è commemorativa ma funge anche da guida nell'atteggiamento psichico e pratico dell'uomo dinanzi ai fatti della salvezza. "Ut autem ad recordationem conversationis eius (di Cristo) in carne sanctae, et salutaris mortis manu quodammodo ducamur, dixerunt et de venerabilibus iconis: et si per eas manu ducimur in dispensationem Christi Dei nostri, quales habemus aestimare illos qui subverterunt venerandas iconas" (Mansi 13:42 D, patriarca Tarassio).

La connessione tra la memoria dei personaggi raffigurati e l'ardore che spinge il fedele verso di esse, viene esaltata nell'oros del Sinodo, "... quanto enim frequentius per imaginalem formationem videntur, tanto qui has contemplantur, alacrius eriguntur ad primitivorum earum memoriam et desiderium, ad osculum, et ad honoriam his adorationem tribuendam" (Mansi 13:378 D).

La memoria e l'effetto emotivo-volitivo da essa provocato, ossia il desiderio ardente che ne scaturisce, sono frutti dell'azione ermeneutica svolta dalle icone. Tuttavia il saluto e l'attribuzione della venerazione nei loro confronti è una manifestazione di adorazione. Questa loro funzione di interpretare il quadro salvifico costituito da fatti e personaggi sacri, stimola la memoria e la brama conducendo verso un'azione adorativa che culmina nel loro saluto. Giovanni Crisostomo confessa un aspetto di questa funzione emotiva: "Vidi saepe in pictura imaginem passionis, et non sine lacrymis aspectum transivi, dum evidenter ars ante vultum afferret historiam" (Mansi 13:10 C).

In un passo del suo Encomio per Meletio, osserva ancora: "et ubique iconam sanctam illam excreverunt multi; ut non solum audirent sanctum vocabulum illud, sed et viderent corporis eius ubique figuram, et duplici quadam migrationis illius consolatione fruerentur" (Mansi 13:7 D).

6.5 L'equivalenza fra l'icona e la parola del Vangelo è di tipo assiologico. L'icona, infatti, offre gli stessi eventi e gli stessi personaggi della salvezza che offre la Parola, ma con un mezzo eterogeneo non meno degno dell'uomo.

Parola e immagine si avvicendano nell'autenticità della testimonianza e della comunicabilità dei fatti. Come è stato precedentemente osservato, la parola storico-descrittiva all'interno del disegno salvifico, non è primigenia di per sé ma assume tale carattere mediante l'immagine, venendo cioè "tradotta" in icona. In questo modo i posteri potranno prendere visione dei fatti così come i contemporanei li hanno vissuti.

Come abbiamo già menzionato, con gli occhi corporei il credente prende visione sia di ciò che una volta era e ora non è più, sia di ciò che per propria natura risulta invisibile all'uomo.

Giovanni Damasceno ammonisce a proposito: "è mediante la contemplazione carnale che ascendiamo a quella spirituale poiché la nostra costituzione è duplice: d'anima e di corpo; impossibile quindi a noi pervenire al grado intellettivo senza partire da quello carnale" (III Trattato apologetico contro i calunniatori delle sacre icone, PG 94:1336).

Il compito delle icone è quello di tradurre e interpretare la realtà sovrasensibile e quella storica che una volta era sensibile. Il linguaggio della traduzione e della interpretazione è costituito dalla tecnica, dagli elementi del colore, dalla forma, dall'espressione e dal movimento contenuti nell'icona. L'arte pittorica delle sacre icone non è un'arte rappresentativa della natura o della storia nella sua globalità, ma unicamente della storia della redenzione; per questa ragione è portatrice non solo di forme ma anche di sottili e sommi concetti teologici.

Le icone, quindi, non sono solo commentari storici, ma anche teologici per quel che riguarda gli eventi della salvezza. Fotis Kòntoglu osserva correttamente: "Le opere delle arti ecclesiastiche della Chiesa d'Oriente sono commentari alla parola divina" (cfr. Ekfrasis, p. XV).

Quando il contenuto di un testo si trasferisce dal linguaggio originario del prototipo a un altro, allora vi è traduzione. Quando però il contenuto si trasferisce in modo analitico e esplicativo, allora vi è interpretazione.

Le sacre icone sono contemporaneamente sia traduzione in un altro "linguaggio", ossia in un sistema eterogeneo quale quello pittorico, sia commentari dei contenuti così trasferiti. Sotto il profilo teologico, la miriade di particolarità contenute nelle icone costituisce il contributo esegetico del pittore-ermeneuta.

6.6 I Padri del Sinodo misero in evidenza l'aspetto didattico secondo il quale le icone si pongono quali strumenti di comunicazione per gli "illetterati" e i "sempliciotti".

Così facendo lasciano intendere che l'icona non esige una istruzione specifica da parte del credente orante affinché si adempia la sua funzione comunicativo-istruttiva. Essa offre la realtà storica della redenzione in modo diretto e non esige una elaborazione intellettiva come avviene invece nel caso della lettura dei Testi Sacri ove, perché si concepisca la realtà, è necessario operare una ricreazione, ossia una trasposizione della parola in immagine attraverso la fantasia.

Qui giova ricordare che il pleroma della Chiesa Ortodossa ha camminato per secoli senza che ci fosse una lettura a livello personale delle Sacre Scritture, ciò dovuto principalmente alla mancanza dell'istruzione necessaria propria degli anni bui della dominazione ottomana. Le sacre icone ovviarono degnamente a questa mancanza tanto che il popolo le usò come alternativa equivalente alle Sacre Scritture ignorando, molto probabilmente, che così osservavano esattamente i canoni cui si era pervenuti nel VII Sinodo Ecumenico riguardante appunto l'equivalenza esistente tra le sacre icone e le Sacre Scritture.

Le sacre icone intese come mezzi di informazione e di insegnamento sono di ampia comprensione poiché minimizzano i presupposti del sapere, facilitando la assimilazione del messaggio salvifico che risulta quindi essere di stampo gnoseologico.

Questo immediato carattere comunicativo dell'immagine, costituisce oggi un postulato riconosciuto e strenuamente "valorizzato" da tutti coloro che si rivolgono alla grande massa, spaziando quindi dal campo politico a quello commerciale fino ad arrivare a quello didattico.

6.7 L'introduzione di immagini a supporto dell'istruzione, ripropone esattamente l'interrogativo del titolo poiché le immagini e in genere le rappresentazioni icastiche e fotografiche della realtà storico-naturale usate nei libri, costituiscono sostanzialmente i complementi esegetici del testo a loro giustapposto.

Naturalmente le sacre icone partecipano a questa funzione istruttivo-esegetica ma detengono al tempo stesso la ragguardevole peculiarità di essere oggetti latreutici. Il loro impiego come tali, tuttavia, non le priva della loro innata funzione esegetica che loro deriva dalla rappresentazione della realtà.

Possiamo a buon diritto affermare che il loro carattere ermeneutico scaturisce dalla necessità che l'uomo ha dell'immagine per poter comunicare e dalla loro equivalenza con la parola.

Di altro ordine il carattere latreutico, ove l'icona funge da ponte di transizione tramite il quale far pervenire a Dio e ai Santi l'onore a loro reso dagli uomini. Essa allora agisce da altare sul quale viene posto non il cruente sacrificio del Vecchio Testamento ma ala fede, l'ossequio, l'onore e la supplica dell'uomo affinché riesca ad innalzarsi verso Dio e i Santi.

Innanzi alle sacre icone si acquisisce la consapevolezza dell'oblazione dell'onore verso Colui che sovrasta ogni onore. E da lassù, sovente, discende la risposta, manifestandosi in avvenimenti miracolosi.

6.8 La funzione didattica delle sacre icone appartiene - causa la conversione dei fatti e delle informazioni in un altro genere comunicativo - alla categoria corrispondente sia alla traduzione che all'interpretazione. La definizione sarebbe più esatta se dicessimo che traduzione e interpretazione coesistono nelle sacre icone. Mentre la traduzione è ciò che corrisponde alla lettera e allo spirito dei Testi Sacri, l'interpretazione è ciò che ne analizza la lettera e lo spirito.

La traduzione - non dimentichiamo il grande Fozio - può essere sinottica, ampia oppure minuziosa. Analogamente, la traduzione raffigurativa può essere catalogata come semplice, ampia oppure minuziosa.

Il carattere traduttivo e interpretativo delle sacre icone si evince dalla loro funzione di trasmissione. Mentre la funzione che le icone hanno di trasmettere l'onore a loro tributato, caratterizza la loro peculiarità di strumenti latreutici, quella tramite la quale informano gli uomini sugli eventi e sui personaggi della redenzione, sottolinea la loro peculiarità quali mezzi di interpretazione della storia della salvezza, divenendo quindi commentari illustrati.

7. La risposta al duplice interrogativo del nostro titolo non può essere esclusiva a favore di uno dei due. Ne consegue che ad ambedue deve essere data risposta assertiva, ossia: l'icona è sia oggetto liturgico che mezzo ermeneutico, così come lo sono le Sacre Scritture alle quali - secondo il Sinodo - vengono "connumerate". Tuttavia il problema pratico che sorge dalla duplice peculiarità delle sacre icone è di capitale importanza e deve impegnare i colleghi dell'istruzione secondaria.

La domanda - tema semplice nella sua formulazione, ma difficile nel suo riscontro pratico - è: com'è possibile che le sacre icone non decadano, così come abbiamo visto dal magistero, da oggetto verso il quale si rende onore, in un semplice mezzo di ispezione? L'argomento può e deve diventare tema di un congresso.

8. A conclusione di questa mia breve analisi, vorrei ribadire che l'immediatezza dell'arte, la provocazione della rimembranza teologica, l'asserto degli scritti, la testificazione della veridicità degli avvenimenti salvifici e l'ubique pittorico dell'icona, menzionano sia il loro carattere esegetico che il diritto e l'obbligo della teologia ermeneutica ortodossa di comprendere anche le sacre icone nelle sue fonti intratemporali per l'interpretazione delle Sacre Scritture.

Trad. Flippos Kyriacou


Da Simposio Cristiano
edizioni dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi S. Gregorio Palamas, Milano 1994, pp. 53-63