KOSTAS LÁNDAVOS, Tò spàtalo fòs (La prodiga luce), Thessaloniki, Ta Tramákia 1992.

Dopo le liriche relativamente estese delle raccolte precedenti, Cammino (1980), Camaleonti e saltimbanchi (1985), Raccoglitore notturno (1989), Lándavos s'immerge nello splendore de La prodiga luce, una piccola antologia di brevi liriche prive di titolo, per condurci risoluto verso un mondo poetico svincolato da ogni legge, nel quale serti di parole fioriscono per dar vita a evocazioni inondate dalla incomparabile luce greca, il cui splendore costituisce di per sé una "mistagogia": "prima che le ore del crepuscolo cedano / alla tenacia dell'oblio // Aporia gorgona / della fede sostegno / interdetta ai profani e sempre vittoriosa".

Spogliatosi di ogni elemento superfluo, Lándavos aspira al senso riposto delle parole, a un misticismo che oscilla fra l'accettazione della realtà e la solitudine. Con un linguaggio lirico in cui i nessi logici quasi scompaiono. Lándavos trasfonde nell'essenzialità delle parole oggetti e personaggi che si lasciano intimamente permeare dalla luce che li lambisce. Già con la prima raccolta, Cammino, Lándavos aveva mostrato di possedere sufficiente lirismo per conferire alle circostanze piùì comuni della vita quotidiana un distanziamento quasi onirico, come nella poesia in prosa Il vecchio, dove è assai evidente l'influsso kavafisiano.

Disse: "I giorni non finiscono, finiamo noi": Quindi incrociò le gambe con movimento lento. Portava un berretto rosso e accese con semplicità la pipa donatagli da un brigante di passaggio. Fumò un poco, con voluttà, chiuse gli occhi, adagio, e lasciò che il fumo lo avvolgesse. Rimase a lungo in quella posizione. Poi, come se qualcosa gli fosse balenata nella mente agitata, rivolse gli occhi dalla nostra parte, si lasciò sfuggire un sorriso indefinito e disse: "Mi piacciono gli scherzi che durano sino alla fine..."

Degni di nota i quindi Piccoli poemi raccolti nella seconda parte, appartenenti al difficile genere Hai-Kai, del quale la poesia neogreca possiede illustri precedenti nel Quaderno di esercizi di Seferis. Sono espressioni liriche caratterizzate dalla preziosa esilità delle cose piccole e rare: "Lego il dolore al dì / del ritorno / e attendo l'invito del compagno. / Lego il dolore alla coda di una / nube / e spero nell'abore della fuga." In Camaleonti e saltimbanchi il tema centrale era stata la meschina ipocrisia dell'uomo di oggi, il quale cerca di prevalere sui propri simili con ogni mezzo e che poi ritroviamo "fuori di una chiesa / a dare l'elemosina ai poveri / sperando nella redenzione". Quanto più Lándavos si allontana dalla soggettività per passare - come irebbe Savvidis - dal dramma dell'Io alla catarsi del Noi, tanto più il suo linguaggio poetico si fa scarno e la tematica dell'amore, già presente, più appassionata. Ottimo conoscittore della lingua greca, ora Lándavos vi attinge a piene mani raggiungendo risultati che soltanto una lingua come il neogreco può assicurare, grazie alla sua molteplicità di modulazioni che possono andare dalla lingua più volgare a quella più arcaizzante senza che il parlante ne resti sconvolto. Con Raccoglitore Notturno l'amore prende decisamente il sopravvento. Formatisi gli intenti di poesia e profilatosi l'ambito dell'arte, il poeta trascende la realtà sensibile ed entra in una regione "dimenticata dal tempo", dove, fra pietre, statue di dèi e "forse anche in un foro romano", incontra personaggi quali "l'indovino Calcante, dalla insaziabile fame", "Clitennestra provvista della spietata rete", Marco vescovo di Aretusa e, appena fuori Delfi, l'Auriga, il quale "non ce la fa più a stare chiuso nel museo".

Tra i pregi maggiori della poesia di Lándavos è l'agilità epigrammatica, grazie alla quale, particolarmente con le ultime due raccolte, egli appare affrancato da ogni gravame corporeo; e il suo linguaggio, a dispetto della complessità letteraria, s'innalza lieve verso la trasparenza del cielo di Tessaglia: "Lo so, non hai più tempo. / I giorni, dicesti, si sono fatti rari / e spenderli vuoi con buon senso / Tu, / che un tempo fosti persona e oggi / sei / Amore, enigma, ferita".

Mauro Giachetti