PLATON RODOKANAKIS

estratto da

DE PROFUNDIS

POESIE IN PROSA (parte 1)

© trad. a cura di

Mauro Giachetti

ITINERARIO SPIRITUALE NEL MONDO GRECO

PNEUMATIKH ODOIPORIA STON ELLHNIKO KOSMO

HELLENISMOS

NOTA INTRODUTTIVA

Platon Rodokanakis, compagno di viaggio dell'estetismo Kavafiano, nacque s Smirne nel 1883. Destinato a farsi monaco, studiò nella Scuola teologica di Chalki (Patriarcato ecumenico di Costantinopoli). Ma indotto dall'inquietudine e dal temperamento ardente ad allontanarsi dal sentiero della vita monastica, si stabilì ad Atene dove, imboccata la via della letteratura, di distinse come una delle personalità più significative dell'estetismo greco. Tra le sue opere più importanti La tonaca ardente (1911), opera autobiografica del periodo trascorso alla Scuola teologica, tratteggiata con pennellate straordinariamente impressioniste, e la Rosa scarlatta (racconti, 1921). Morì ad Atene nel 1919.

Mauro Giachetti


Io sono la luce del mondo

GESÙ

(dialogo)

Il Semplice: “Che cose terribili. Ma non capisci che con ciò che scrivi accenderai nella tua testa un grande fuoco?”

    L'Erudito: “Accenderò ciò che indica il colosso di rame ai marinai erranti. Dio della luce, m'innalzerò all'ingresso del porto al cui interno garantirò salvezza ai profughi che molto hanno sofferto. – Passerete tutti sotto le mie gambe.


PRELUDIO

ALEA IACTA EST

   Spronate i cavalli, conformatevi a nobili pensieri, ricevete il battesimo biancazzurro delle grandi decisioni. Fidenti nella vostra stella, avanzate ora irrefrenabili. Adesso che il Rubicone ribolle sotto gli zoccoli del mio Pegaso, rivolgete la vostra prima supplica ai patrizi dello spirito i quali, senza pretendere che vi vengano incontro o che vi aprano all'istante le porte, stiano per tranquilli che non sarò io a far sì che vi siano oche sul Campidoglio. E quando, cinto di corona, salirò i marmorei gradini, affonderò una mano nelle vampe del sacro fuoco di Vesta, ghermirò sangue e notte alla sua luce e scaglierò il raccapriccio dei suoi colori sulla bianca toga che le Sibille mostreranno al giovane Romano. E qualunque figura comparirà su di essa, serena o spaventosa, demone o serafino, non esiterò a togliervi il mio monogramma.


L'INNO DEL MARAGIÀ

Mon coeur s'est senti malade dans ma poitrine, depuis mes premiers jours jusqu'à l'heure présente.

PANTOUN MALAIS

    Quando la nera ala del corvo s'annidò sotto la lasciva notte delle tue ciglia, l'invida mano di Lacmé volle trascinarla lontano. Ma Siva sparse sulle tue guance tutto il colore ch'era rimasto, e i neri stami d'un fiore rosso che appassì sulle tue labbra.

    Perle nere raccoglierò con reti di corallo sulla superficie d'un mare di latte. Neri flabelli s'aprono e chiudono con spasimi di piacere su argentei calici di rose del Gange, mentre una farfalla sugge lasciva i loro dolcissimi baci.

    Sotto il triste cipresso d'una pagoda di porcellana, sull'acqua cristallina della fonte dei bramani che piange il sangue versato dall'oleandro, m'imbattei negli occhi neri dei colombi che correvan gemendo a rinfrescarsi le nivee ali.

    I cigni neri d'Oceania che nuotano tra purpurei gigli e pallidi fiori di loto su laghi incantati, son come i grumi neri del tuo viso.

    Si spengono in un firmamento marmoreo come stelle carbonizzate dall'ardente galassia delle tue labbra.

    Sono come le unghie dell'odalisca tinte d'henné, quando fa ciondolare i serpentelli neri dei suoi cincinni e protende smaniosa l'alabastro delle sue braccia scolpite verso il corpo bianco del suo amante ignudo.

    Somigliano alla nuvola scura della peluria sudata che ricopre il tepore dell'ascella melata degli efebi di Zaro.

    Mi ricordano le folte selve d'ebani che circondano le marmoree parti dei corpi interdette ai profani.

    Ogni corpo ignudo è un santuario d'avorio.

    È un santuario di Mitra o d'Astarte, ove l'anima celebra i misteri eleusini.

    Il tuo volto ha l'espressione estenuata del fiore della magnolia, quando dalla serica coppa dei suoi petali i bianchi pappagalli s'inebriano di balsamici aromi tropicali.

    Quando ti chinasti per raccogliere i frutti sparsi caduti dai ciliegi, le nuvole nere della tua chioma ricaddero giù.

    Due vulcani di marmo, rovesciati, esplosero sul tuo seno.

    Tra tanto fumo vidi le loro vette infuocate e le mie labbra furono arse delle nere gocce di lava che si versarono all'intorno.  

    Anche se le tigri del Bengala e le pantere di Lahore riunissero tutte le macchie scure del loro vello d'oro, non vi sarebbe mai tanta notte come quella che la rugiada effuse in gocce nere sotto le tue mammelle insanguinate.

    Porgerò le mie labbra mentre i petali merlettati dell'oppio seccheranno e cadranno all'intorno.

    Le mie labbra ardenti incendieranno i chicchi neri dell'aloe per incensare la gloria della tua carne.

    La religiosa fragranza dei campi persiani ipnotizzerà i miei sensi eternando la funerea voluttà dei miei occhi nella vampa delle visioni proibite della Cina.


IL GIGANTE

    Stendetevi pianure, lasciate passare il monte. Prone son diventate le colline dopo il suo passaggio sulla vasta superficie. In alto nel cielo sta la mia testa. Strada facendo la mia testa cozzerà contro le stelle e le farà sanguinare. In due si spaccherà il cielo, ma intatta rimarrà la creazione. Io sono il monte che cadrà giù dalla fessura del firmamento. Il mio intelletto è la fortezza sulla vetta, con i bastioni, gli spalti e i ponti su cui splendono gli stemmi d'un'antica nobiltà. Mentre lontano da quest'aristocratica elevatezza di pensieri, laggiù ai miei piedi, una misera tristezza di capanne si stende e fuma per la rinuncia. – Mi chino, e in mezzo agli iloti riconosco il mio cuore.