KOSTAS E. TSIROPULOS

CULTURA DEL CORPO

PARTE SECONDA


4. Secondo la fede degli antichi greci e dei cristiani, dunque, il mondo che noi conosciamo per mezzo dei nostri senso ebbe un principio. E avrà anche una fine. In un determinato momento i giorni saranno troncati e ,moltitudini di uomini – sabbia dolceamara del creato, della quale vita e morte si approvvigionano –, saranno convocati, con la loro coscienza completamente dischiusa, a render conto delle proprie azioni. Ma quale sarà, allora, nella suprema realtà della Parusia di Dio e del Giudizio, la sorte delle opere d'arte? Opere immortali dalla eccelsa bellezza, che trascendono le procedure del tempo concepibili dal corpo dell'uomo – e dell'artista –, staranno attonite a osservare il giudizio della stirpe degli uomini dai quali furono plasmate. Quale sarà la loro sorte quando non esisteranno più gli esseri temporali mortali ai quali offrire, in misteriosa comunione, le loro sensazioni affinché, osservandole, essi possano vivere partecipando allo loro bellezza immune dal tempo? La morte del tempo le lascerà esposte.
Lascerà senza protezione anche le parole, anche le lingue che per mezzo d'inquietudine creativa e dolorosa estasi generarono i grandi testi letterari. Allora parole e lingue andranno in frantumi – «saranno abrogate», «taceranno» –, nella muta perplessità della rivelazione del mistero: sarà la fine di ogni cosa. L'immortalità delle opere d'arte è convenzionale. La sua possibilità corrisponde alla dimensione dinamica del corpo umano. Da questo punto di vista esse sono immortali – benché l'uomo percepisca questa verità inconfutabile. Tali opere sono anticorpi contro la sua corruttibilità, frammenti dell'antitempo, pungenti riflessi dell'immortalità.
Ma quando i secoli giungeranno a compimento, quando il mondo, morente, raggiungerà la linea di confine e la parola «allora» non esisterà più, quando non saranno più necessari gli avverbi di tempo e le specificazioni di tempo non avranno più senso là dove si schiude l'eternità, il non-tempo, mi chiedo che cosa ne sarà delle grandi opere d'arte, di quelle poche che riuscirono a sopravvivere fin dal loro inizio per tutti i drammatici secoli del mondo? Non parteciperanno anch'esse alla tragicità della temporalità dell'uomo? Esisterono presupponendo le creature del tempo, cioè gli uomini corporei. Husserl (cit., p. 106) osserva che tutte le cose del mondo sono incarnate nella propria sostanza. Quando gli uomini smarriranno il proprio corpo, anch'esse le perderanno. Alla fine soccomberanno tutte – ossa nude e polevre.
Scoccherà l'ora della morte anche per le opere d'arte che hanno resistito diacronicamente nell'universo. Posso immaginarla mentre crollano a terra e trasalgo – ramo atterrito, tormentato del creato, con la coscienza ferita e il cuore che geme.

5. Una statua, un libro, una composizione musicale, un dipinto – somme creazioni artistiche che risplendono circonfuse di gloria immortale – non avranno ragione di esistere al Giudizio Universale, alla fine del tempo e della stirpe degli uomini nutriti di tempo. Tutto ciò che è stato creato che è inscritto nel tempo, porta il peso della carne, della corruttibilità. E dev'essere di carne almeno nella misura in cui è anche di spirito.
Per esistere, le opere d'arte hanno bisogno di essere percepite da corpi umani dotati di sensi nel pieno del loro vigore. Ma nella vita futura non vi saranno corpi simili. Essi saranno trasformati: «Ecco, vi dico una cosa misteriosa: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati... I morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati». (1 Cor, 15, 51-52)
Poiché non vi saranno uomini dotati di un corpo come lo conosciamo ora, mancheranno i fruitori che un'opera d'arte presuppone. Gli uomini-anime dotati di corpi nuovi non potranno più interessarsi ai frutti della fatica umana sulla terra. Al cospetto della bellezza assoluta di Dio, sentiranno il dissolversi, il dileguarsi della bellezza relativa dell'Arte. Risuoneranno verbi nuovi che faranno precipitare nella morte parole e lingue. Il dolore sarà cancellato e la misteriosa necessità di comunione con l'Arte si estinguerà. Fino ad allora gli uomini, o almeno quanti vi erano riusciti, avevano vissuto le opere d'arte proprio perché erano uomini mortali, perché erano rivestiti d'un corpo mortale e avevano provato incessantemente il dolore di essere mortali. Per mezzo della bellezza essi si consolavano della inesorabilità della propria morte, e vivevano la propria diacronicità come sconvolgente alternativa dell'immortalità. Ma il Costruttore del mondo «trasformerà anche i nostri corpi... e anche il mondo sarà disfatto e trasformato in qualcosa di divino» (San Gregorio Palamàs, Filocalia, IV, p. 134). La trasformazione che lacererà tutto il creato si compirà.
Finché esisteva la morte le opere d'arte erano «immortali». Quando la morte sarà annullata esse saranno trasformate. Mostreranno la loro natura mortale profondamente nascosta. E saranno abolite. L'intero raccolto di cultura di tanti secoli inquieti si ammucchierà nell'inesistenza. Evento di giustizia: dal momento che l'artista muore, è naturale che anche le sue opere prima o poi muoiano. Il tempo impone su tutti e su ogni cosa la relatività quale morte. Se l'uomo, sulla terra, «per mezzo delle cose visibili, non ha mai cessato di presentire l'eterno» (Gabriel Marcel, cit., p. 14), quel benedetto presentimento gli fu insegnato soprattutto dalla comunione con l'arte.


Da Cultura del corpo di Kostas E. Tsiropulos
Atene 1981
Traduzione di © Mauro Giachetti