MICHALIS PIERÌS, Rythmoù kai fòvou (Del ritmo e della paura), Planodion, Atene 1996, pp. 86.

 

Questo è il primo libro di poesia che Pierìs pubblica col suo vero nome: piuttosto noto come filologo e critico letterario, è autore di notevoli studi (soprattutto su Kavafis), ed è stato professore di Letteratura greca in molte università (Creta, Salonicco, Sidney, Melbourne) finché non è tornato nell'Università del suo paese natale, Cipro. Il suo lavoro poetico è sempre stato pubblicato sotto lo pseudonimo di Michalis Eftagonitis in due libri fuori commercio Dòs mou orismòn, Nicosia 1993; Arròsti Nìsos, Nicosia 1994), e in un altro edito, come il presente, da Planodion, Anàstasi kai thànatos miàs politìas, Atene 1991). Anche altri poemi di Rytmoù kai fòvou erano già apparsi in prestigiose riviste come "Lexi", "Píisi", "Planodion", "Akti". Questa lunga pratica, unita alla profonda conoscenza che Pierìs ha della letteratura greca e di quella europea, spiegano la maturità poetica che si avverte leggendo i poemi di questa raccolta. Il libro è diviso in due sezioni, in cui comunque la persona poetica di Pierìs è protagonista assoluta: lo dichiarano le tre citazioni che aprono il libro, da Kavafis, da Kavvadias e da Yeats, soprattutto quest'ultimo: "A poet writes always of his personal life...". Così, sotto l'insegna sempiterna di Omero, comincia la prima parte, Rapsodia di un nuovo giudizio, divisa in 24 poesie numerate alla maniera dell'Odissea (a-w), in cui abbondano la riflessione lirica innanzi a paesaggi ammirati nei viaggi del poeta: Creta, Australia, Germania, Spagna, Svezia, Egitto e molti altri luoghi sono solo il pretesto per una esaltazione appassionata della carne e della sua lotta contro il tempo. E anche per il senso dell'esilio che caratterizza sempre le radici della sua cultura: un viaggio per il Mayne fa passare il poeta dalla rimembranza dei poeti romantici greci Anèvasma stò Màin, che si trasforma in un epinicio per Teocrito, Seferis, Saffo, Karyotakis, Callimaco, Calvos, Archiloco, Kavvadias e altri. Il tutto si presenta in uno stile sobrio, elegante, in cui anche il minimo elemento ornamentale è utilizzato con discrezione; anche la metrica, quando appare un metro tradizionale, sembra dissimularsi. Così nel canto di Caròndissa i pentadecasillabi vengono realizzati solo per metà; mentre gli Anapesti di Svezia costituiscono un notevole gioco metrico. Com'è naturale, sono molti i precedenti e i riferimenti letterari, dichiarati o meno. Nelle Note che appaiono alla fine del libro, il poeta riconosce che "nella nostra epoca i poemi non si scrivono soltanto sulla base delle esperienze vitali, ma anche sulla base dei libri che leggiamo". La seconda parte è, come indica il titolo, un "saggio di poetica", con sette poemi che affrontano il tema dell'ispirazione, le relazioni del poeta con le sue diverse "muse"; assai originale è specialmente Il poeta e l'isola, che mostra crudamente la situazione di Pierìs in un contesto poetico di profonde controversie come quello cipriota. La situazione politica di Cipro alimenta un tipo di poesia ultranazionalista che Pierìs accetta, trovandosi per questo in una posizione marginale (e analoghe considerazioni si potrebbero fare su un poeta come Charalambidis, di cui renderemo prossimo conto). Per fortuna non mancano poeti capaci di scrivere, come Pierìs, poesia in un senso più ampio.

Questo libro, insomma, riflette sulla letteratura, ma la sa anche creare, nella ricerca della memoria, della poesia, che è, si può dire, (Elegia della memoria): "la radice / nelle viscere del ritmo e della paura".

Rafael Herrera Montero