Giacomo Leopardi




GRANDI PAGINE ISPIRATE

NEL CORSO DEI SECOLI

DAL MESSAGGIO INCOMPARABILE

DELLA GRECIA ETERNA

 

 

 

 

GIACOMO LEOPARDI

 

DISCORSO

SOPRA MOSCO

 

La Vita di Mosco è tanto poco conosciuta, che alcuni hanno pensato a torsi d'innanzi questo personaggio, confondendolo con Teocrito, e hanno creduto che il vero nome di questo poeta sia Mosco, non essendo Teocrito che un soprannome datogli a cagione della fama che si era acquistata coi suoi componimenti: poiché Teocrito vale; uomo di divino giudizio. «Essendosi reso insigne nella poesia buccolica,» dice l'autor greco della Vita di Teocrito, «venne in gran credito, e, secondo alcuni, fu perciò chiamato Teocrito, e cangiò in questo il suo proprio nome di Mosco.» Questa opinione è falsa. L'autore degl'Idilli attribuiti a Teocrito, e di quelli che si hanno sotto il nome di Mosco, non può essere un solo. Sono essi di due caratteri troppo opposti fra loro. D'altronde Servio, Stobeo, Eudocia Augusta, Suida distinguono manifestamente l'uno dall'altro i due poeti. Di più Mosco stesso fa menzione di Teocrito nel suo canto funebre per la morte di Bione: ciò che decide ogni controversia.

    La patria di Mosco fu Siracusa, se crediamo a Suida, e converrà pur credergli, poiché non abiamo motivi pe non farlo. Certo dall'Idillio sopra Bione e da quello sopra l'Alfeo ed Aretusa, apparisce che egli era di Sicilia. Mosco fu dunque compatriota di Teocrito.

    L'età in cui egli visse, non è fuori di questione. Suida ci dice che egli fu discepolo di Aristarco Grammatico, il quale per testimonianza dello stesso Suida e di Eusebio, visse al tempo di Tolomeo Filometore intorno all'Olimpiade CLVI. Teocrito fiorì sotto Tolomeo Filadelfo, verso l'Olimpiade CXXX. Da ciò seguirebbe che egli fu di circa un secolo anteriore a Mosco. Ma come è dunque che questi, nell'Idillio sopra Bione, suo maestro, dice che Teocrito si suole della morte di lui? Ciò ha fatto credere a Longepierre e ad altri che Mosco sia stato non solamente compatriota, ma anche contemporaneo di Teocrito. Il Fabricio  però ha amato meglio attenersi a Suida, dicendo che gli argomenti addotti da Longepierre contro la di lui opinione non sono invitti. Ma egli non ha mostrato che in realtà non lo sieno, e a dir vero io credo che ciò possa farsi appena. Infatti nel citato Idillio dice Mosco che Ascra piangea Bione più che Esiodo, la Beozia più che Pindaro, Lesbo più che Alceo, Teo più che Anacreonte, Paro più che Archiloco, Mitilene più che Saffo; ma di Siracusa, che sembra essere stata la seconda patria di Bione, non dice, ciò che sarebbe stato ben naturale, che essa lo compiangea più di Teocrito: all'opposto, annoverando i pastori che si attristavano per la sua morte, dice che Teocrito la piangea tra i Siracusani. Quindi parmi che si abbia avuta molta ragione di dedurre che Bione e Mosco sono stati contemporanei di Teocrito. Quanto a M. Poisinet de Sivry, che nelle Vite di Bione e di Mosco premesse alla traduzione francese delle loro poesie, dice che il secondo di questi poeti fu ami du fameux Aristarque et contemporain de Théocrite, noi ci congratuliamo con lui della sua comoda cronologia.

    Avendo fatto Mosco discepolo del grammatico Aristarco, Suida lo fe' anche grammatico esso stesso. «Mosco» dic'egli, «grammatico siracusano, discepolo di Aristarco, è dopo Teocrito il secondo scrittore dei drammi buccolici. Scrisse ancor egli poesie buccoliche». Veramente egli si mostra poco caritatevole verso il nostro povero seguace delle Grazie, che trasforma così in un accigliato grammatico, e, quel che è peggio, del genere di quelli che chiamavansi Aristarchei. Noi però non avremo difficoltà di fargli provare un simile trattamento, non prestandogli veruna fede. Infatti, dimostrato che Mosco non fu discepolo di Aristarco, ciò che mi sembra provato da quello che ho già detto, io penso che sia mostrato eziandio che egli non fu grammatico. Quanto all'errore di Suida, sospetto che egli abbia dato luogo un altro Mosco, di cui Ateneo, oltre alcuni libri di meccanica, cita la esposizione dei vocaboli usitati in Rodi, opera che sembra convenire ad un grammatico. Questa però è una semplice congettura, che forse non merita alcuna considerazione.

    Ciò che sappiamo di certo intorno al nostro Mosco, è che egli apprese la poesia buccolica da Bione. Ce lo fa sapere egli stesso nel suo canto funebre per la morte di questo poeta:

 

                       Ed io pur che anche

Per te, caro, mi dolgo, e or vo cantando

Un mesto Ausonio carme, io non ignaro

Del metro pastoral, che a me mostrasti

 

    Ecco quanto conosciamo della vita di Mosco. Tutto il resto ci è ignoto.

    V'ha grande apparenza che ci sia sconosciuta similmente la maggior parte dei suoi Idilli. Infatti il luogo di Suida, che ho riferito poco sopra, non par che possa accordarsi col piccolissimo numero degl'Idilli che ci rimangono, i quali non montano a più di sette o otto. Né verosimil pare che Servio per otto soli Idilli abbia nominato Mosco come uno dei principali poeti buccolici. Quattro degl'Idilli che ci restano, cioè i primi e i più lunghi, sono stati stampati più volte tra quelli di Teocrito. Questi furono inseriti nella raccolta di poesie buccoliche da un contemporaneo di Artemidoro grammatico. A poco a poco si tralasciò di permettere a ciascuno di essi il nome di Mosco, e tutti quegl'Idilli, ad eccezione del primo, ci sono pervenuti, per negligenza dei librai, sotto il nome di Teocrito, ciò che è accaduto ancora ad un Idillio di Bione, e forse anche ad altri Idilli. Fulvio Ursino ed Enrico Stefano si sono occupati in distinguere i componimenti di Teocrito da quelli di altri autori e col mezzo delle loro fatiche siamo giunti a conoscere che tre Idilli, attribuiti a Teocrito, debbonsi veramente a Mosco. Un altro Idillio di questo poeta, benché si trovasse fra quelli di Teocrito, conservava nondimeno nel titolo il nome del suo autore. È ancora incerto se tutti gl'Idilli, che si leggono ora sotto il nome di Teocrito, gli appartengano veramente, ed è pur verosimile che tra essi  se ne trovi qualcuno di altro poeta, e forse anche di Mosco, ma difficl cosa è il determinare quali siano di altro autore. Ciò non può farsi se non coll'aiuto dei manoscritti. 

    Il primo e il più celebre degl'Idilli di Mosco ha per titolo:  Amor fuggitivo. Questo è il ventesimo primo Idillio tra quelli di Teocrito nelle antiche edizioni di questo poeta. Alcuni, non so per qual ragione, l'hanno attribuito a Luciano, e Amor fuggitivo è stato impresso anche tra le opere di questo scrittore. Ma in verità l'Idillio è di Mosco, e a lui l'ascrive anche Stobeo. Sembra che egli abbia tolta la idea di Venere, che va in traccia di Amore smarrito, dall'ode trentesima d Anacreonte, in cui si finge che quella dea cerchi il suo figliuolo fatto prigione dalle Muse, recando seco il suo riscatto. E non altri che Mosco poté avere in vista un anonimo, allorché tradusse il luogo di Anacreonte così: 

 

Vener priva del suo figlio,

Mille baci ora promette

    A chi sotto il mesto ciglio

Il fanciullo le rimette.

 

    Certo non presso Anacreonte, ma bensì presso Mosco, Venere promette baci a chi le rechi il figlio perduto. Il Tasso deve a Mosco l'idea, che serve di materia al prologo del suo Aminta. Il nostro poeta avea fatto parlar Venere, ed egli fa parlare Amore fuggito, e sottrattosi al potere della madre. Fa uso pure di qualche pensiero tratto evidentemente dall'Idillio di Mosco: come allorché fa dire ad Amore:

 

                                       Ella mi segue

Dar promettendo a chi m'insegna a lei

O dolci baci, o cosa altra più cara,

Quasi io di dare in cambio non sia buono

A chi mi tace, o mi nasconde a lei,

O dolci baci, o cosa altra più cara.

 

    Finge ancora che Amore per non essere riconosciuto abbia deposto alcuni dei contrassegni che Mosco fa descrivere a Venere minutamente. 

 

Ma per istarne anco più occulto, ond'ella

Ritrovar non si possa ai contrassegni

Deposto ho l'ali, la faretra e l'arco.

 

    In somma, la fuga di Amore cantata dal Tasso, non è diversa da quella cantata da Mosco, e il discorso di Venere messo in versi da questo poeta, e quello di Amore conservatoci dal Tasso, sono due scene di una stessa azione.

    Il secondo Idillio di Mosco s'intitola Europa. Esso fu attribuito a Teocrito, e nelle vecchie edizioni di questo trovasi nel ventesimo luogo. Salvini ed altri lo hanno tradotto insieme cogli Idilli di quel Buccolico. Longepierre recando in francese le poesie di Mosco ha lasciato Europa da banda. Ma sì lo stile, sì due MSS. veduti dall'Ursino, mostrano che questo Idillio è del nostro poeta. Sembra che Orazio ed Ovidio l'abbiano imitato in qualche parte. Il cav. Marino nell'Idillio che intitolò Il rapimento d'Europa non non fe'  che dilatare e allungare, vale a dire, corrompere quello di Mosco, di cui spesso tradusse anche fedelmente interi luoghi.

    Il canto funebre di Bione, ossia il terzo Idillio di Mosco, che parmi la sua poesia più bella, e che certamente è un capo d'opera nel genere lugubre pastorale, occupa nelle antiche edizioni di Teocrito il decimonono luogo. Ma senza bisogno  dei MSS. si conosce facilmente leggendo lo stesso Idillio, in cui si fa menzione di Teocrito, che esso non può appartenere a questo poeta.

    Il quarto Idillio di Mosco, che ha per titolo Megara moglie d'Ercole, è il ventesimosesto nei vecchi esemplari impressi di Teocrito. Esso però si attribuisce generalmente al nostro poeta, benché  M. Poinsinet de Sivry lo abbia omesso nella sua traduzione di Mosco.

    Ciascuno di questi quattro Idilli ha nel greco il suo proprio titolo. Gli altri quattro ne mancano, perché non ci son pervenuti né in una raccolta d'Idilli, come i quattro primi, né in manoscritti particolari, ma in una collezione di detti e di frammenti d'ogni genere.

    Il quinto Idillio di Mosco, conservatoci da Stobeo, fu intitolato da M. Poinsinet de Sivry La paresse, ed io avrei adottato questo titolo, se i termini italiani di prigrizia, infingardaggine, poltroneria, non mi fossero sembrati troppo grossolani per un Idillio di Mosco, che però amai meglio lasciar assenza titolo.

    Il sesto Idillio, trasmessoci pure da Stobeo, non è più lungo di otto versi nel greco. Lo intitolai Gli amanti odiati, ed ebbi la sventura di credere questo titolo più convenevole, che vi ha posto M. Poinsinet de Sivry: La Chaîne.

    L'Idillio settimo, che non è men breve del precedente, e che devesi, com'esso, a Stobeo, fu intitolato da me L'Alfeo ed Aretusa; da M. Poinsinet de Sivry  Le fleuve Alphée.

    L'ultimo Idillio, che intitolai Espero, essendo brevissimo, è veramente leggiadro, e farebbe grande onore a Mosco se gli appartenesse. Ma a dir vero, benché abbia prevaluto l'opinione, che lo attribuisce a questo poeta, e benché essa sia adottata universalmente sì dai traduttori di Mosco, che da altri scrittori, convien confessare nondimeno che essa è quasi evidentemente falsa. Presso Stobeo, che ci ha conservato quest'Idillio, esso segue immediatamente un altro Idillio di Bione, e precede il sesto idillio di Mosco. Ciò forse ha dato luogo all'equivoco; ma i margini di Stobeo favoriscono Bione, a cui pure l'attribuisce Arsenio vescovo di Monembasia, scrittore greco del secolo decimosesto. Nondimeno attribuendosi generalmente questo Idillio a Mosco, non ho tralasciato di tradurlo.

    Ho chiamato Idilli e non frammenti queste ultime quattro poesie che si hanno presso Stobeo. Racchiudendo ciascuna di esse un pensiero compito, ho creduto che possano giudicarsi intere, benché dalla collezione del citato raccoglitore non sia possibile trarre alcun lume sopra di ciò.

    Ci rimane anche un epigramma di Mosco, che ha per titolo: Amore arante. Molti lo hanno tradotto o imitato; Mutinelli fra gli altri in quel madrigale:

 

Gittando Amor la face e i dardi suoi,

Prende gli arnesi d'arator bifolco;

E stimolando i buoi,

Sparge i semi nel campo, e forma il solco.

Poscia rivolto al ciel, fa che risponda

A l'ardue mie fatiche,

Disse, o Giove, la terra; e sia feconda

Delle bramate spiche;

Se d'Europa non vuoi converso in toro

Qui servir sotto il giogo al mio lavoro.    

 

    Questa è imitazione; quella di Pagnini è traduzione:

 

Posto giù face e strali, ad armocollo

Un zaino Amore e un pungolo si tolse,

E avvinto al giogo il tollerante collo

De' buoi un solco a lavorar si volse.

Gridò poi volto a Giove: o i campi miei

Feconda, o bue d'Europa arar tu dei.

 

    M. Poinsinet de Sivry volendo tradurre l'epigramma di Mosco, ci ha dati questi versi:

 

Jupiter à l'Amour dit un jour en colère,

Je briserai tes traits, ton arc, et ton carquois.

Penses-tu m'effrayer, dit le Dieu de Cythère?

Et si je te rends cygne une seconde fois?

 

    Egli è degnissimo di scusa per un errore che benché alquanto ridicolo, merita molta compassione. L'epigramma che egli ha tradotto non è quello di Mosco. Esso è un altro epigramma di diverso autore, e sicuramente M. de Sivry avea le traveggole quando lo confuse con quello del nostro poeta. Carlo Maria Maggi lo tradusse così:

 

Giove disse ad Amor: frangerti un giorno

Vuo' quello stral maligno.

Rispose Amor: ma se a ferirti io torno,

Lasci l'aquila altera, e torni cigno.   

 

    Zappi l'imitò in quel madrigale:

 

Disse Giove a Cupido:

Che sì fanciullo infido,

Ch'io ti spennacchio l'ali,

E ti spezzo quell'arco, e quegli strali?

Eh, padre altitonante,

Tante minacce, e  tante?

A quel ch'ascolto, hai voglia di tornare

A far due solchi in mare

Colle corna da bove.

Disse Cupido a Giove.

 

    Così anche il Bettinelli:

 

Giove: Che sì che d'arco e strale

Ti spoglio, o d'ogni male,

Fanciullo, autor maligno.

Amore: Spogliami pur, se vuoi, padre immortale.

Ma s'io ti vesto in toro, in serpe, in cigno?

 

   L'epigramma di Mosco è tratto dall'Antologia, come anche quello che Poinsinet ha tradotto in un luogo suo.

    Daniele Heinsio attribuisce a Mosco l'Idillio ventesimo tra quelli che si hanno sotto il nome di Teocrito, intitolato Il Bifolchetto, e l'Idillio ventesimo settimo, che ha per titolo Colloquio, di Dafni e di una fanciulla, e che Longepierre recò in francese insieme con le poesie di Mosco. Io tradussi il primo di questi Idilli moderandone qualche espressione troppo pastorale, ma confesso che volendo tradurre l'altro, e avendo messe le mani all'opera, mi perdei di coraggio, e per non essere obbligato a mutilarlo, come ha fatto il P. Pagnini, risolsi di desistere affatto dall'impresa. Infatti, alcuni luoghi di quell'Idillio sono intollerabili. del rimanente la congettura dell'Heisio non è adottata, e non merita di esserlo, poiché lo stile di Mosco è diversissimo da quello dei mentovati Idilli, nei quali spicca forse più che altrove quel carattere di Teocrito, che M. di Fontenelle accusava di rozzezza. In essi l'amore è dipinto con tratti grossolani, che possono dirsi osceni, e che non hanno nulla a che fare colle grazie di Mosco. Taccio che Stobeo, attribuì manifestamente a Teocrito l'Idillio che non ho tradotto, poiché ne citò sotto il suo nome il quarto verso.

    Mosco, disse Bettinelli, non somiglia a Teocrito, così che paiano un solo. Infatti, i caratteri dell'uno e dell'altro sono ben diversi. Sì Teocrito che Mosco sono originali, giacché Mosco non è un copista come Virgilio, ma cantando ambedue sopra le stesse materie, e coltivando lo stesso genere di poesia, hanno seguito due strade diverse. Teocrito d'ordinario è più negletto, più povero d'ornamenti, più semplice, e talvolta anche più rozzo. Mosco è più delicato, più fiorito, più elegante, più ricco di bellezza poetiche artificiose. In Teocrito piace la negligenza, in Mosco la delicatezza. Teocrito ha nascosto più accuratamente l'arte, di cui si è servito per dipingere la natura. Mosco l'ha lasciata trasparire un pocolino, ma in un modo che alletta, e non annoia, che fa gustare e non sazia, che mostrando solo una parte, e nascondendo l'altra, fa desiderare di vedere ancor questa. La natura delle poesie di Mosco non è coperta dagli ornamenti, non è offuscata dalle frasi poetiche, non è serva dell'arte. Questa viene ad assidersi al fianco della natura, e la lascia comparire in tutto il suo splendore. Mosco è un poeta civilizzato, ma non corrotto; è un pastore che è sortito qualche volta dalla sua villa, ma che non ha contratto i vizi dei cittadini; è il Virgilio dei Greci, ma non un Virgilio che inventa e non trascrive, e che inoltre cambia in una lingua più delicata, e in un tempo che conserva alquanto più dell'antica semplicità. Questa da Mosco fu sottomessa all'arte, ma non guasta, anzi talvolta fu lasciata spaziare liberamente. È stato detto che egli piace anche a quelli che sono accusati di non saper gustare la semplicità degli antichi. A giudizio di M. Poinsinet de Sivry egli l'ha conservata più di Bione. «Sembra,» dic'egli,  «che Mosco non somigli al suo maestro, se non quando questo somiglia a Teocrito. Ambedue però mi lusingano e m'incantano. Io lascio collo stesso dispiacere. Io lascio collo stesso dispiacere la ninfa di Bione ed il pastore Mosco». Questi comunemente è posposto a Teocrito. Servio dice che questo poeta è migliore sì di Mosco che degli altro Buccolici. Il P. Rapin, dopo aver parlato di Teocrito e di Virgilio, dice solo che gli Idilli di mosco e di Bione hanno essi pure grandi bellezze ed anche grandi delicatezze. Blair però scrive che questi due poeti, se cedono nella semplicità a Teocrito, lo vincono nella tenerezza e nella delicatezza; e M. de Fonteville si è dichiarato apertamente più favorevole a Mosco che a Teocrito, di cui ha trovato molto difettosi i componimenti. Tiraboschi non ha osato entrar giudice del merito dei due poeti, ed  amato meglio attenersi al silenzio. Quanto a me, non ardisco anteporre Mosco a Teocrito, che ha bellezze inarrivabili, e che fra gli antichi è per eccellenza il poeta dei pastori e dei campi, ma non ho difficoltà di dire che a qualcuno dei suoi Idilli nel quale domina quello stile austero, che ci pone innanzi agli occhi le genti di campagna con tutta la loro ruvidezza, io preferisco le graziose e colte poesie di Mosco. Chi infatti non si sente allettato dal leggiadro pastore che ci trattiene col canto funebre di Bione, più che dal villano bifolco, che nell'Idillio ventesimo di Teocrito si lagna perché Eunice l'ha beffato, e rimproverandogli la sua deformità e il cattivo odore che aveva intorno, ignominiosamente gli ha volte le spalle? Ognuno può fare il paragone di questi due Idilli, poiché io ho tradotto anche quello di Teocrito che male a proposito è stato attribuito a al nostro poeta, come ho detto sopra.

    Basta il gran numero dei traduttori di Mosco a far conoscere in qual pregio si siano sempre avute le poche poesie, che di lui ci rimangono. Adolfo Metkerck, Lorenzo Gambara, Bonaventura Vulcanio, Davide Withford, lo tradussero in versi latini. Con traduzione pur latina prosaica lo pubblicarono Giovanni Crispini, Commelin Giacomo Let e gli editori del Teocrito d'Oxford. Enrico Stefano, che l'avea pubblicato nella sua Collezione dei poeti principi Heroici carminis, ne inserì ancora tre Idilli in un'altra raccolta di brevi componimenti sì greci che latini, e lo unì poi agl'Idilli di Teocrito e di Bione nelle edizioni che fece di questi poeti. Winterton gli diè luogo nella sua Collezione dei poeti minori. Lo pubblicò quindi lo Schier con note di vari autori unitamente agli Idilli di Bione. Il Poliziano recò in versi latini il primo Idillio di Mosco, che fu pur tradotto poeticamente in latino da un anonimo, la cui versione di quell'Idillio dato in luce sotto il nome di Luciano insieme colle sue opere. Giovanni Vorst e Girolamo Freyer inserirono il quarto Idillio di Mosco nelle loro raccolte di Poesie Greche scelte.

    In francese, dopo Longepierre, tradusse Mosco, per tacere di altri, M. Poinsinet de Sivry, membro della società reale di scienze e belle lettere di Lorena, il quale raccolse le poesie di Anacreonte, di Saffo, di Bione, di Mosco, di Tirteo, ed alcuni epigrammi tratti dall'Antologia in un piccolo volumetto che comparve per la quarta volta col titolo: Sapho, Moschus, Bion et autres Poètes Grecs, traduits en vers français. Questo libro ha ottenuto qualche celebrità, ed ha avuto l'onore di alcune satire, di che l'autore si è applaudito. In una lettera a M... D*** stampata appiè del volume, egli dice di aver tradotto Anacreonte per mostrare la falsità di quel pregiudizio, che ha fatto credere per lungo tempo che i Francesi non sarebbero mai riusciti a tradur bene in versi Anacreonte. La sua intenzione è lodevole, ma io credo che i Francesi ringrazieranno il loro nazionale della sua buona volontà e rinunzieranno alla prova, di cui egli ha voluto fornirgli, della pieghevolezza della loro lingua. Infatti, per uno strano accidente M. Poinsinet ha conformato il pregiudizio che voleva distruggere. Un poeta tutto grazie, che svaniscono quasi al solo tocco, e che non soffrono la menoma alterazione; un poeta per cui ogni straniero abbellimento è una macchia, ogni benché leggera amplificazione, un corrompimento, ogni nuova pennellata, uno sfregio; un poeta, che è il vero esemplare dell'antica semplicità, sì facile a perdersi e a disparire, come potea tradursi da chi ignorando, per quanto apparisce, perfettamente il Greco, era incapace di gustare quella leggiadria, che questo idioma conferisce ai delimitassimo componimenti di Anacreonte, e per conseguenza era incapace di sentire una terza parte delle bellezze di cotesti componimenti, e, quel che più importa, non era atto a conoscere il gusto vero e ad afferrare la vera idea della fantasia poetica di quel Lirico? Una parafrasi di Anacreonte è un mostro di letteratura. Anacreonte parafrasato è un ridicolo: la sua grazia diviene bassezza, la sua semplicità, affettazione: egli annoia e sazia al secondo istante. Parafrasato poi alla francese, Anacreonte può invidiare veramente i Bavi ed i Mevi. Per dare dunque una idea dell'opera di Poinsinet, basti dire che egli ci ha dato una parafrasi francese di Anacreonte. Questi nella sua traduzione è uno spiritoso scrittor di versetti, un dicitore di bons-mots, un Greco vestito alla parigina, o piuttosto un Parigino vestito mostruosamente alla greca. Per trarre un esempio dalla prima Ode, veggasi come egli ne traduce il principio: 

 

J'allais chanter les Héros

Sortis de Thèbes et d'Argos,

Mais au fils de Cythèrée

Ma lyre était consacré

 

Chiamar Cadmo e gli Atridi gli eroi di Tebe e di Argo, e Amore il figlio di Citerea, è far uso di perifrasi che come ognun vede, tolgono la semplicità e guastano un'Ode di Anacreonte. Poinsinet però se ne serve assai spesso, e con ciò mostra di non avere inteso in che consista il pregio delle odi di quel poeta. Anacreonte non fa uso che della parola drovson per esprimere la rugiada in quel luogo che Poinsinet ha tradotto così:

 

Pour toi l'amante de Céphale

Répand dès l'aube matinale

Le tendre tribut de ses pleurs.

 

Far dire da Anacreonte alla cicala:

 

Pour toi la boîte de Pandore

N'eut point de maux contagieux,

 

non è egli bel pensamento? È pur grossolana la conclusione della bellissima ode, in cui Anacreonte  fa parlare una colombella a un passaggero:

 

Mais adieu, je me retire;

Le jour tombe, il m'avertit

Q'enfin j'en pourrais trop dire;

Et j'en ai déjà trop dit.

 

Qual differenza dai delicati versi di Anacreomnte, che il nostro De' Rogati ha tradotti così:

 

Tutto or sai, vanne felice;

D'una garrula cornice

Tu mi hai resa ormai peggior.

 

Ecco l'ode ottava di Anacreonte tradotta da Poinsinet:

 

Dans une débauche agréable,

Cédant aux douceurs du repos,

Ivre des plaisirs de la table,

La nuit me versait ses pavtos.

Une tendre et douce chimère

Vient alors flatter mes esprits;

Sodain je me trouve à Cythère

Parmi les plaisirs et les ris.

Sans songer à mes cheveux gris,

Je pousruivais de près Glicère;

J'avais atteint Lise et Cloris,

En vain mes rivaux en arrière

M'accablent d'injustes mépris;

Je touche au bout de la carrière

Dont cent baisers furent le prix

 

Paragonisi ora questa traduzione col testo greco di Anacreonte, ovvero colla versione quasi letterale che qui ne darò, e veggasi se è possibile raffigurare l'ode del poeta greco in quella del poeta francese: «Dormendo di notte sopra tappeti di porpora, rallegrato dal vino, sognai di correre velocemente colla estrema punta dei piedi, scherzando con uno stuolo di vergini. De' giovinetti più delicati di Bacco mi rimproveravano e mi deridevano con parole pungenti a cagione di quelle belle fanciulle. Ma mentre io voleva baciarle, tutti col sonno  mi fuggirono dagli occhi, ed io misero, rimasto solo, cercai di addormentarmi di nuovo». Poinsinet non ha tradotta la terza ode do Anacreonte sopra Amore ricevuto in casa di notte dal poeta. Egli dice che non ha osato farlo dopo La Fontaine.

Section
Language